Rosaria Longoni Foto di Fabrizio Radaelli
“Il Cortile degli Oleandri” di Rosaria Longoni si leggerà a scuola.
Il romanzo é la testimonianza di un’esperienza vissuta durante il fascismo e la lotta di liberazione,  fa rivivere il bello della solidarietà.

 

La famiglia della nonna Gigia, emigrata dal Friuli, ci accompagna nella dolcezza degli affetti familiari, nel coraggio della scelta, nella sopravvivenza alla miseria di ogni giorno, salda nella fede e nell’altruismo.

“Il cortile degli oleandri” edito da Mimesis (2021), opera prima di Rosaria Longoni, già sindaca di Nova Milanese (2013 – 2018), prima consigliera e assessora alla cultura, entra nelle scuole.

Perché proporre la lettura di “Il cortile degli oleandri”?

Gli allievi del terzo anno della scuola secondaria di primo grado-risponde Rosaria Longoni- si trovano ad affrontare nel programma di storia, il percorso della memoria riferito alla Seconda guerra mondiale.

La storia della Resistenza con la R maiuscola passa attraverso le microstorie che la attuano.

Le docenti di lettere della Scuola “Giovanni XXIII” di Nova Milanese hanno proposto la lettura del mio libro ai ragazzi, poi è stato organizzato un incontro con l’autrice e, per conoscere direttamente i luoghi in cui gli avvenimenti si sono svolti, è stata realizzata una visita guidata al cortile e alla Chiesa di Muggiò, dove i ragazzi hanno potuto incontrare una testimone, la mia cara zia Vilma.

Quanto è importante fare memoria oggi?

Non si finisce mai d’imparare così come non si finisce mai di ricordare. La memoria deve circolare. Testimonianze positive, modelli di donne esemplari, anche se comuni, tra la povera gente, devono essere conosciuti. Tramandare il bello, il buono, il coraggio è una missione, ma soprattutto un dovere. Io lo dovevo a mia nonna, a mia mamma, e ai miei nipotini.

Una famiglia al femminile, dunque?

Soprattutto, ma anche la presenza di nonno Rizieri è stata messa in luce, sottolineando la sua caparbietà e il desiderio di non cedere alle sopraffazioni, in modo particolare nell’ambiente di lavoro, nella fabbrica Breda di Sesto. Certo le sorelle, cioè le figlie di nonna Gigia, tra cui la mia mamma, si stringono intorno a lei che è il perno instancabile. Nessun cedimento, nessuna difficoltà scalfisce la sua speranza che si fa certezza.

La Famiglia Tarondo protagonista de “Il Cortile degli Oleandri”
Perché questo titolo?

Perché il cortile è il luogo in cui le donne, le figlie, allora bimbe o ragazze si ritrovano a vivere in comunità. È il vero spazio scenico, di vita vissuta tanto da essere attraversato dai giovanissimi partigiani, inseguiti dai fascisti e dai tedeschi, verso la Chiesa vicina. Un’uscita secondaria avrebbe permesso loro una sicura via di fuga.

E gli oleandri?

Delimitavano il cortile dalla parte del bar Verni e davano un tocco di colore, di bellezza in quel tempo così buio e terribile, dove non era ammessa nessuna leggerezza. Poi l’oleandro è una pianta resistente come l’epoca narrata dai fatti.

L’altra pianta a cui si fa riferimento nel romanzo è il basilico.

Sì, il libro è dedicato a nonna Gigia e al suo profumo di basilico. Lei portava sempre nell’occhiello della sua camicetta o del suo grembiule un rametto di basilico. Era l’unico profumo che poteva permettersi.

Io la ricordo così.

In un primo momento, infatti, avevo pensato che questo sarebbe stato il titolo al mio romanzo testimonianza: “Profumo di basilico”. Poi, ho ritenuto opportuno non intitolare la resistenza quotidiana durante quegli anni terribili, dal 1936 al 1945, con un titolo forse più adatto ad un ricettario.

“Il Cortile degli Oleandri di Rosaria Longoni”
Ci parli adesso di come il libro è stato accolto nel suo paese di residenza

Non solo a Nova Milanese, ma anche nelle realtà limitrofe, dove sono stata invitata a presentarlo, ho ricevuto una calorosa accoglienza. La reazione comune che ho riscontrato negli adulti della mia generazione, e anche oltre, è stata quella della condivisione. La descrizione così minuziosa non solo dell’ambiente, ma dei personaggi e delle loro azioni, ha riportato la lancetta dell’orologio indietro nel tempo, facendo rivivere i luoghi, dando il “la” alla partecipazione emotiva.

Tutto è uscito dalla mia penna come un fiume sotterraneo, ma molti si sono riconosciuti e hanno rivissuto con me il narrato.

 

Un’indagine storica è stata incrociata agli eventi familiari?

Sì, ho ritenuto indispensabile cercare di associare alla vita di questa famiglia un excursus negli eventi più clamorosi che hanno coinvolto Milano e dintorni, come per esempio, gli scioperi del ’43 o il bombardamento del 1942. Fonti storiche fungono da contraltare alla memoria individuale e collettiva.

 

E i ragazzi, quale riscontro? Quale bilancio nell’esperienza scolastica?

Per me, che sono stata insegnante di lettere, storia e geografia, ritornare a scuola è stata una conferma della mia vicinanza alle nuove generazioni, che vivo anche attraverso la cura dei miei meravigliosi nipotini. Ho sempre creduto, data la mia formazione pedagogica, che l’esperienza sul campo sia quella più incisiva per i ragazzi. Cioè imparare facendo e vivendo.

 

A questo servono le uscite alla scoperta del proprio territorio, i viaggi d’istruzione, nonché gli stages linguistici.

 

Sì, ma soprattutto una scuola esperienziale, dove tutti i sensi vengono attivati.

Infatti, i ragazzi di terza media hanno riconosciuto il cortile di fianco alla chiesa. Ma soprattutto hanno potuto incontrare zia Vilma, Ines nel romanzo, che si è prestata a rispondere alle loro domande. Qualcosa è cambiato, ma non molto.

70 anni sono trascorsi, ma quello spazio di Muggiò sembra essersi fermato!

Spero che la loro memoria visiva si innesti sul piacere della lettura, perché qui non servono verifiche né valutazioni, a mio parere.

A volte la valutazione, il voto finale, inficia il bello dell’apprendimento, vissuto sul campo come scoperta.

 

Noi, alla Prof.ssa, alla Sindaca, alla scrittrice, ma anche alla madre e nonna Rosaria Longoni, non diamo una valutazione, ma un ringraziamento perché avevamo la necessità di leggere un libro come questo, per conoscere, ma soprattutto per fare memoria e dare speranza e fiato alla storia.

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di Barbara Avanzini

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