Ph di Alice G. Dal Borgo per https://soulfoodforestfarms.it/

Sotto gli alberi del mio giardino ascolto la pace del pomeriggio nel frinire delle cicale, in questa bolla di serenità non sento paure. Evento raro.
Quest’assenza mi colpisce perché è la paura il sentimento costante della vita.
È quell’inevitabile, sgradevole allarme che ci accompagna ogni giorno per il quale ci teniamo vigili contro pericoli certi, ma soprattutto verso quelli incogniti che non riusciamo ad immaginare.
C’è qualcuno che non ha mai vissuto quest’esperienza?
Qualcuno può dire di non avere mai provato un senso di pericolo prossimo venturo e di non averne sofferto?
Alla fine è la paura il compagno di viaggio più sgradevole d’ogni nostro ragionamento, anzi la guida “ad vitandum”, la maledizione, che contorna l’esistenza.
Nel susseguirsi di ansie ci percepiamo fragili e spesso messi alle strette dalla vita.
Ma qualcosa, materialmente, può salvarci dalla costanza della paura?
Qualcosa mai compenserà il dolore del vivere colla grazia della vita e la serenità dell’esistenza, fondamenti d’un bell’essere interiore?
Ce lo chiediamo spesso per il fastidio che ci perseguita ogni giorno.
Però se permettiamo che la mente varchi i confini dei nostri problemi, staccandola per un attimo dalle paure immanenti, scopriamo che non ci abbandona mai il desiderio d’esistere.
È il desiderio d’attraversare i labirinti dell’esistenza dove ogni scoperta allarga gli spazi dell’essere; in contrasto colle difficoltà ma pure colla noia del “nulla accade di buono”.
Sono i comandamenti vitali, il valore primitivo dell’esistere punto e basta, perché qui non possiamo rifiutare di starci.
Qui per missione siamo presi dal fato morale d’interpretare il mondo, colla nostra vita cosciente, anche se pensiamo che lui, da solo, un senso non ce l’ha.
È la nostra intelligenza quella fa da presupposto al desiderio d’esistere, non la possiamo dismettere perché è la nostra essenza.
Un tutt’uno collo sforzo di vivere.
Dentro la corporeità è il dono speciale d’ogni mattina, sia pure accompagnato dalle dolenze della quotidianità.
Quel desiderio d’esistere c’accompagna all’infinito, trascorrendo i sentieri del mondo, riempiendolo d’ogni contenuto, fisico o spirituale, che si possa raccogliere nel viaggio perpetuo fra lo spazio ed il tempo.
Ma, in fondo, per noi viaggiatori dell’infinito, basta, a soddisfazione e morale, viverne semplicemente la percezione, senza volere legarle uno scopo, come adesso sotto un tamericio, mentre sento immobile la vita trascorrere intorno: da me a chissà dove, e mi ritrovo a vivere in pace il bello delle cose.
Quindi, evitando le ansie d’una meta, è sufficiente poter dire: presente per godere la gioia dell’esistere, percepire un senso compiuto d’immortalità, temporanea, limitata intorno a noi, ma pur sempre immortalità per l’immensità degli elementi, che in ogni momento contiene e che ci raccoglie.
Basta questo per superare le inevitabili ansie della giornata e le loro paure? Sì.
È il vivere vivendo, parti d’un essere generale, al quale apparteniamo, che pure in minimi termini riusciamo a contenere, allargando i confini del sé con la nostra immaginazione.
È l’innegabile piacere riservato a noi umani avere la coscienza di essere, addirittura comprendere l’universo. Unica creatura che ha questo dono speciale. Viaggiatore ed interprete dell’infinito e dell’eterno, l’unica in grado di dargli una voce.
Ora riflettendoci, ascolto il frinire delle cicale, che sembra continuare anch’esso in eterno.
Arrivo ad una conclusione: è l’estate colle sue pause, le sue calure, dalle quali nascondersi, le notti all’aperto ad osservare le stelle, la stagione migliore per comprendere in quale vastità viviamo e di quale vastità siamo fatti.
Altro che noia.
P.S.
Questo articolo è liberamente ispirato al film “Passengers” con Jennifer Lawrence e Chris Pratt.

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di Gaetano Galderisi

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