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Domenico Iavarone, lo chef con due stelle Michelin: “La cucina é felicità e condivisione”

Domenico Iavarone è lo chef del Josè Restaurant-Tenuta Villa Guerra di Torre del Greco ha quarant’anni e due stelle Michelin, ma non si é montato la testa.

 Quando hai capito qual era la tua strada?

“E’ una cosa che non si percepisce. E’ un istinto.

Non c’è un momento in cui te ne rendi conto.

Poi, giorno dopo giorno, senti che ti nasce dentro qualcosa, una forza che ti porta a fare dei sacrifici per perfezionarti”.

 

Un grande chef deve avere maestri eccellenti. Dove ti sei formato?

“Sono un po’ anomalo. I miei colleghi hanno viaggiato tantissimo, io, invece, mi sono focalizzato su due persone, per me molto importanti.

Uno è Oliver Glowig, un po’ il mio papà sia in termini umani che professionali.

L’altro è Gennaro Esposito della Torre del Saracino”.

Possiamo dire che la tua cucina é ricerca tra tradizione e innovazione?

“Più che innovazione e tradizione é ricerca dei prodotti stagionali del nostro territorio applicati a delle tecniche che li rendono più salutari”.

 

Chilometro zero?

“Le parole sostenibilità, chilometro zero, sono sulla bocca di tutta la ristorazione, ma sono pochi quelli che riescono a mantenere un progetto a chilometro zero o basato sulla sostenibilità”.

Parliamo della tua terra

“Torre del Greco é famosissima per la gastronomia, per il corallo.

L’oro rosso. I prodotti della terra del Vesuvio non possono essere  sostituiti da prodotti che non sono del Vesuvio”.

E le contaminazioni, quanto sono utili?

“E’ giusto avere delle contaminazioni, ma non devono essere eccessive. L’arma  segreta del ristoratore – lo chef deve sempre  ragionare da ristoratore – é ricordare che le proposte devono essere semplici

Nel mio menù c’é limone, ricotta, pomodoro del piennolo, olio extra vergine di oliva, melanzane.

Cerco di valorizzare il prodotto della stagione”.

Un piatto speciale, quello che i suoi clienti amano di più?

“Nasco da una famiglia di macellai, sono conosciuto come uno di quelli che fa la zuppa forte più buona”.

Possiamo spiegare a chi non lo sa che cos’é la zuppa forte?

“E’ un piatto povero della tradizione napoletana, si consuma nel periodo che va da  novembre a febbraio.

Si tratta di uno spaghetto  con la zuppa forte di maiale”.

Un piatto impegnativo?

“La capacità dello chef  é rendere i piatti del territorio quanto più leggeri possibile.

La zuppa forte può sembrare, veramente, molto pesante.

Eppure l’olio extra vergine d’oliva invece dello strutto di maiale e  l’aggiunta di yogurt di bufala rendono il piatto fresco e particolarmente interessante”.

 

 

Chef lei fa beneficenza?

“Non credo si tratti di beneficenza, ma, piuttosto, del dovere di mettersi a disposizione di chi ha meno.

Collaboro da anni con Manuela Capuano, promotrice di progetti di aiuto.

Oggi siamo a Ischia, a Casamicciola, a tenuta C’est la vie, un posto meraviglioso.

In  queste location eccezionali raccogliamo fondi che vengono utilizzati per alcuni reparti del Santobono di Napoli”.

A che età ha cominciato?

“Molto presto, nell’azienda di famiglia, una macelleria.

Poi mi sono catapultato nel mondo della ristorazione frequentando l’istituto alberghiero “Ippolito Cavalcanti” di via Manzoni a Casavatore in provincia di Napoli.

Ho fatto la gavetta nei ristoranti alla spicciolata, mi sono reso conto di aver bisogno di crescere.

Ho incontrato Oliver Glowig, uno chef che stava cambiando la ristorazione d’albergo.

Con persone così via a lavorare anche gratis.

E ti chiedi  perché un tedesco fa una cucina territoriale che parla di ravioli capresi, di risotto al limone, di ricotta di bufala, di pomodorini del piennolo.

Da qui la mia grande curiosità nei confronti  di Oliver Glowig fautore della ristorazione di qualità in albergo”.

 

 

 

Lo chef Domenico Iavarone
Quando l’ha incontrato?

“Nel 2000, ma mi disse che il mio curriculum era troppo scarso per entrare nella sua brigata.

Da tedesco mi bruciò. Mi richiamò dopo due mesi per dirmi che si era liberato un posto. Poi é nato un rapporto che va oltre la collaborazione.

Non ha figli maschi e dice che sono il suo figlio maschio”.

Con un buon piatto riesce a convincere?

“Il Josè Restaurant é nato cinque anni fa all’interno di Tenuta Villa Guerra.

José é una casa e ogni casa é gestita da una mamma.

Qui la mamma é Maria Guidone Zampognaro, ebbene l’ho conquistata con un risotto”.

E’ entrato nel progetto grazie a un risotto?

“Sì”

Gli ingredienti del risotto?

“Limoni, scampi e liquirizia. Quel piatto é stato il mio trampolino di lancio”.

E qual é il piatto capace di cambiare in meglio le cose?

“Da campano io faccio un piatto di pasta.

Una semplice pasta al pomodoro fatta bene può cambiare l’umore e portare felicità. La cucina é felicità e condivisione”.

Le persone magrissime forse non ti sono simpatiche.

“Ma no, ci sono tantissimi finti magri”.

Il bello é che alcuni suoi colleghi lamentano la scarsità di personale.

“Il problema c’é, tante strutture non hanno personale.

Chi decide di fare il cuoco oggi può guadagnare tanto da vivere egregiamente.

C’é troppa visibilità per i cuochi e tutti credono che si possa fare tutto e subito.

La nostra professione richiede sacrifici.

Non le nascondo che ho iniziato a mettere i piedi per terra da solo all’età di trentadue anni.  Dopo 14 anni di gavetta”.

C’é più lavoro nel settore cucina o nel settore sala?

“Oggi ci sono notevoli carenze nei settori sala e pasticceria. Soprattutto in pasticceria”.

Quante ore al giorno lavora?

“Non posso dirlo, un cuoco non smette mai di lavorare. Ma non é un sacrificio.

Ieri era il mio compleanno, ho lavorato dalle otto di mattina alle due di notte, stamattina alle sei ho preso l’aliscafo per venire a Ischia”.

Il tuo primo pensiero di mattina?

“Penso solo dopo due caffè”.

Il pensiero con cui vai a dormire?

“Ringrazio Dio perché anche oggi ho avuto le mie soddisfazioni lavorative.

La questione é che il nostro lavoro si concentra in due ore e in quelle due ore devi dare il massimo.

Non puoi permetterti di sbagliare”.

Quanto costa pranzare dallo chef Iavarone?

“Da 80 ai 130 euro. Ma dipende anche da quanto ci bevi e dai percorsi.

A Torre del Greco siamo il primo ristorante stellato nato in una villa vesuviana”.

Con due stelle Michelin ci si monta la testa?

“Non é il mio caso, io con o senza stelle continuo il mio percorso”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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di Ornella Trotta

Ornella Trotta

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