SALVITELLE (SA). Giù dalla montagna di Serra San Giacomo in non più di 3 minuti, a piedi nudi.
Come ogni anno, l’ultima domenica di agosto, a Salvitelle si corre la tradizionale corsa campestre per onorare San Sebastiano, patrono del paese.
Le origini
La corsa ha origini antichissime e nasce da una sfida.
Tra il 1700 e il 1800, il territorio di Serra San Giacomo, il monte che sovrasta il borgo, fu campo di esercitazione dei fucilieri francesi da montagna. I pastori salvitellesi, fini conoscitori di ogni anfratto di quel luogo e abituati a camminare a piedi nudi, decisero di sfidare i Borboni d’Oltralpe in una corsa tra rovi e spine, ottenendo la vittoria.
Era il 1791 e il nemico era stato umiliato.
Oggi si corre per San Sebastiano
Era il periodo in cui si festeggiava San Sebastiano e, col tempo, si è scelto di “dedicare” questa vittoria proprio a lui, patrono del paese, rievocando ogni anno quella disfida.
La profonda devozione per San Sebastiano associa da sempre fede e folklore, sacro e profano ed è molto sentita da chi abita ancora in paese e da chi, ormai lontano, ci torna ogni anno per festeggiarlo degnamente.
Il traguardo a cui giungono i corridori è direttamente sull’altare della chiesa in piazza, dove ognuno di loro, in un ultimo slancio di energia, si arrampica fino a baciare la statua del santo.
Subito dopo si possono ritrovare tutti i partecipanti con i piedi immersi in piccoli tini, pieni di vino, che disinfetta e cicatrizza le ferite inferte dagli spuntoni calpestati lungo i sentieri.


Chi sono i partecipanti
Tradizione vuole che a partecipare alla corsa sia solo chi a Salvitelle ci è nato, ci risiede, o ha almeno un genitore originario del posto.
Dai 3 colpi sparati per dare il via, alla safety car che inizia a correre per far sfollare la strada, tutto pare fermarsi. Il tempo è sospeso: nessuno proferisce parola, se non sottovoce. Poi, all’improvviso, il boato e l’applauso liberatore.
Il vincitore è arrivato e a ruota lo seguono tutti gli altri. Da quel momento senti solo i commenti: “Quello è il figlio di tizio”, “Quello è il nipote di caio”.
Il bello è che, per partecipare, non c’è limite di età!


Le sensazioni della folla
Ogni volta che ad arrivare tra le due ali di folla posizionate lungo la strada principale è uno dei “giovanissimi”, l’applauso si raddoppia. Più di qualche lacrima solca i volti stupiti di chi è venuto apposta per vedere questa spettacolare tradizione popolare.
Quasi tutti i bambini salvitellesi vantano almeno una partecipazione alla tradizionale competizione. Naturalmente sono accompagnati dal papà, che gareggia insieme a loro, o da parenti o amici che li sostengono fino all’ultimo.
Nei loro occhi non ci sono mai lacrime di dolore, anche se hanno le gambe piene di graffi e nei piedi più di qualche spina.
Quello che si legge in quei visi ancora imberbi è l’orgoglio e la forza d’animo, gli stessi che portarono i pastori di qualche secolo fa a sfidare senza armi chi pensava di poterli sottomettere.
La festa di San Sebastiano costituisce il momento centrale della massima socializzazione. Il paese ritrova le radici della propria cultura nell’espressione collettiva di una religiosità (in parte pagana) in cui coesistono folclore, fede e superstizione. In questo amplesso anche l’emigrato può riaffermare l’appartenenza al proprio gruppo originario nel rivisitare il paese che gli ha dato i natali.
Tratto dal volume Salvitelle – Itinerario storico dal ‘700 ad oggi a cura di Pietro Zirpoli, questo stralcio è significativo di quanto l’attaccamento alle proprie origini sia fortemente sentito.
In una comunità ormai ridotta all’osso, come tante altre realtà, la voglia di ritornare almeno una volta all’anno è davvero forte.

Ed è proprio per dare modo a chi vive lontano di poter essere presente, complici le ferie d’estate, che si è deciso di festeggiare due volte l’anno: il 20 gennaio, giornata ufficiale dedicata a San Sebastiano, quando i festeggiamenti restano solo in ambito religioso, e l’ultima domenica di agosto, giornata equamente divisa tra religione e “laicità”.