Domenico De Masi

di Egidio Marchetti

 

 

Cilento, la maledizione di Pisacane

La morte di una persona comporta sempre un bilancio da parte di chi rimane, accompagnando spesso il ricordo con enfasi e retorica e con testimonianze qualche volta poco sincere.

E’ questo il caso del Professore Domenico De Masi venuto a mancare pochi giorni fa.

Un intellettuale di fama internazionale, le cui analisi aprivano la mente, illuminando percorsi, riuscendo a capire prima e meglio degli altri dove andava il mondo.

Con la sua vivace intelligenza ha spiegato le trasformazioni del mondo del lavoro, con una capacità di comunicazione straordinaria.

Sicuramente è stato un grande Italiano, che ha tenuto sempre alta l’asticella del dibattito con i suoi studi.

Per noi Cilentani è stato una speranza, presto svanita, per l’incapacità del sistema di seguire il suo passo, allorquando fu nominato Presidente del Parco Nazionale del Cilento e, già in pochi mesi, si accingeva a realizzare una grande rivoluzione, sia negli equilibri interni, che nei rapporti esterni.

La sua vicenda, conclusasi troppo presto, si aggiunge alla lunga serie di occasioni mancate, che hanno costellato la travagliata storia del Cilento.

Quasi come una “mala sorte” che ha accompagnato tutti quelli che hanno provato a cambiare qualcosa.

Una specie di “maledizione” che da Carlo Pisacane in poi ha soffocato ogni tentativo di riscatto e di emancipazione, per il prevalere di un istinto di conservazione che ha privilegiato lo “status quo”.

Contrastando gli innovatori, visti come “invasori foresti”, premiando invece le varie forme di tirannide che si sono succedute nei secoli.

Una sorta di “peccato originale”, difficile da espiare, che a sua volta genera ulteriori danni, in primis quello di non favorire la formazione di una classe dirigente moderna, aperta ed indipendente.

Se la ricchezza di un luogo deriva anche dalla qualità e dalla quantità di scambi con altri territori, dagli apporti culturali e professionali provenienti dall’esterno, l’atavica penuria di tali requisiti condanna i contemporanei alla staticità, ad una scarsa mobilità sociale, dovendosi accontentare di professionisti, imprenditori, burocrati ed amministratori nati, cresciuti e formatisi prevalentemente in loco, con scarse esperienze di lavoro e di specializzazione, non solo in Italia ed all’Estero, ma finanche fuori dalla propria provincia.

Si capisce quindi come quelle di oggi siano solo lacrime di coccodrillo.

Almeno da parte di chi al tempo non mosse un dito per impedire l’addio di una persona illuminata.

Forse perché inviso al partito dei “cento campanili”, agli innamorati dei finanziamenti a pioggia, dei “festival del putipù” e di tutta quell’armonica “mediocrazia” che non vuole cambiare per non perdere i propri privilegi.

Non importa poi se questo “modus vivendi” abbia causato un effetto anestetico, provocando una sorta di deficit cognitivo nella borghesia dominante e nella rappresentanza politica.

Personalmente mi dispiace soltanto non aver conosciuto il Professore De Masi, a cui avrei chiesto tante cose, oltre a complimentarmi con lui.

Gli avrei anche detto una cosa, cioè che se Esòpo fosse passato per il Cilento, probabilmente avrebbe scritto un’altra delle sue celebri favole: quella dell’asino che credeva di essere una volpe, che in dialetto cilentano viene chiamato “u’ ciuccio ‘nsertato a volpe”, progenitore di una specie mai estinta: quella degli stupidi, dei furbi e presuntuosi, inconsapevoli zavorre del progresso, convinti di sapere tutto, senza alcun dubbio e privi di apertura mentale.

Incapaci di guardarsi allo specchio, di scorgere i propri limiti, di doversi confrontare o peggio, di accettare l’idea di poter imparare da qualcuno.

Quasi come in un delirio di onnipotenza e di perfezione.

Non di leoni o altri animali di gattopardiana memoria, bensì solo degli equidi, testardi e scalcianti verso chiunque provasse a portarli alla realtà con intelligenza.

Esseri che hanno ancora bisogno di briglie, di fruste, di autorità.

Abituati al comando ed alla sottomissione, poco inclini all’indipendenza ed all’emancipazione.

Il bello é che quello che è venuto dopo Pisacane e dopo De Masi, ricorda plasticamente questa amara metafora.

Un monito severo ad uscire da certi steccati, ad aprirsi ai migliori, a superare quella presunzione di autosufficienza che ha frenato lo sviluppo e la crescita del nostro territorio.

Cogliendo le opportunità che la storia dovesse tornare ad offrirci

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di admin

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