MIlano, Brera. Foto Andrea Scuratti

La questione dei femminicidi nella società italiana coinvolge due confliggenti percorsi esistenziali e culturali ed una fragilità mista a frammentazione.

Le prime due riguardano l’evoluzione psicologica e culturale degli uomini e delle donne italiane.

La terza riguarda l’incapacità generale della cultura e della organizzazione civile a determinare regole e bersagli esistenziali condivisi verso i quali indirizzare modi di vita e complessità interiori sia per gli uomini che per le donne.

È del tutto evidente che negli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi di questo diffusamente è stata consentita, anzi promossa, ed a ragione, una profonda evoluzione della personalità femminile, aprendo spazi e fornendo diritti, ma soprattutto consentendo d’accedere a motivazioni esistenziali, quali le carriere professionali, interessi culturali, libertà sessuali, anzi spesso reinventando ex novo la sessualità femminile, così consentendo la liberazione di emozioni e diritti una volta repressi o sconosciuti.

In sostanza si è avviata più che una rivoluzione, già avvenuta nel ventesimo secolo, un nuovo corso di vita e di aspettative, per milioni di donne, quest’ultime ritagliate a misura d’una emergente consapevolezza in divenire delle potenzialità dell’organizzazione psicologica femminile. (Per inciso, le donne sono in maniera preponderante sia psicoterapeute che “pazienti” di psicoterapeuti).

Questa progressione verso nuove identità ci appare, ed a ragione, inarrestabile anzi per i canoni della nostra cultura ed anche della nostra affettività francamente dovuta.

In contemporanea è da rilevare che la percezione maschile della vita, con i suoi stereotipi ed archetipi sia rimasta, tutto sommato, invariata.

Ciò è solo un residuo culturale o è qualcosa di più? A tale proposito vale la pena di ricordare che in tutte le categorie viventi dagli artropodi ai mammiferi è sempre il maschio che si afferma nel gruppo, sceglie e poi domina le sue femmine.

Questo senso di predominio quindi è un profondo elemento interiore, una costruzione istintiva su basi genetiche, che nei millenni il succedersi delle culture e delle necessità di ordine sociale hanno mitigato e regolamentato. Ma è rimasta nel registro pulsionale maschile. Di converso nei vissuti femminili compare spesso l’aspettativa di legarsi a figure maschili autorevoli se non dominanti.

Sono due percezioni coincidenti ma che comunque vanno non denegate ma messe nel conto di uno sviluppo armonico dei rapporti uomo donna e revisionate con costanza per le mutanti esigenze sociali

In ogni caso forzatamente o per condivisione reciproca alcuni canoni di questo millenario rapporto con un dominante per diritto naturale ed un’apparente dominato per disciplina sociale sono restati sostanzialmente invariati.

Ma ciò solo fino al secolo scorso quando i movimenti operai e le “innovazioni” conseguenti anche nel mondo della cultura egemone hanno rivoluzionato e scosso dalle fondamenta questo paradigma.

In grandi parti del mondo occidentale questi cambiamenti sono stati elaborati e restituiti in forme abbastanza equanimi di parità sociale fra uomini e donne (penso ad esempio alle società anglosassoni).

Nel mondo mediterraneo come tutti sappiamo ciò è avvenuto molto più lentamente e con grande fatica per il freno posto a tutto da un consolidato socio, economico, culturale e perfino religioso.

Pensiamo al “delitto d’onore”, ai sequestri riparatori in Sicilia, al mondo contadino ovunque in Italia.

In altri Paesi si è reso possibile un nuovo “patto sociale” fra uomini e donne fondato, all’interno delle nuove libertà, su una meno conflittuale forma di convivenza, comunque accettando di regola di non superare i limiti del lecito giuridico e soprattutto penale, in Italia, per parlare del nostro Paese.

Ciò non è avvenuto per la scarsa volontà delle classi egemoni e poi della politica in generale di affrontare tale spinose questioni fino alle loro radici superando i decenni d’arretratezza giuridico culturale, che ci  dividono da altre nazioni.

Quindi in una società frammentata sia culturalmente che nella gestione del potere non si è mai realmente affrontato dalle sue basi l’enorme conflittualità sociale, che si è dipanata ed aggravata in questi ultimi decenni fra un mondo femminile in crescita ed un mondo maschile reattivo e spesso sfornito di quegli strumenti culturali, anche nella sfera emotivo affettiva, che dovrebbero servire a trovare elementi morali contro le derive della violenza.

Pure se il conflitto “culturale” fra uomini e donne nella vita di coppia è di fatto ineliminabile per la diversità non eliminabile fra uomini e donne nelle loro costruzioni spirituali, ciò non significa che non sia controllabile, assoggettabile a revisioni culturali ed oggetto di pressione sociale.

Quindi per tale proposito, che ha da essere diffuso e convergente, a parte il famoso grido del parlamento francese “Vive la difference”, che acclama gli aspetti fecondi delle diversità sessuali, è proprio nel rispetto e nella tolleranza delle reciproche diversità, impartita universalmente e fino dalla prima infanzia a femmine e maschi che, se la società n’è all’altezza, si può sciogliere la gran parte dei nodi che confliggono oggi nei due mondi della sessualità.

Va disegnato un nuovo mondo culturale, dove trovi spazio un nuovo modo di pensarsi, di viversi, di costruire una coppia stabile, di progettare un’esistenza insieme, di supportarsi nelle vicende spesso ostili dell’esistenza ecc.

Alla fine d’amarsi con convinzione per il differente e reciproco apporto ad una comune completa esistenza.

Ci si può contenere in un modello educativo, globalmente esercitato, che accompagni ogni individuo anche in quella lunga fase, che modernamente diventa sempre più lunga dell’adolescenza e dell’irrequietezza amorosa conseguente, evento di per sé non sconveniente nell’arco d’una esistenza.

Con ciò richiamando a reciproca responsabilità di vita sia uomini che donne.

Un percorso non facile ma che una società, dedita alla sua stessa evoluzione ed anche alla sua sopravvivenza, deve trovare la forza politica di percorrere.

Questo senza lasciare agl’impulsi geneticamente custoditi in ognuno di prendere il sopravvento, pure rispettandone il ruolo esistenziale.

È questa la soluzione più “democratica” percorribile anche perché gli ergastoli “a posteriori” si rivelano inefficaci a prevenire episodi di criminalità grave e di feroce tragedia a tanti cittadini e cittadine alla fine vittime designate ambedue di una società incapace di auto regolarsi e rinnovarsi.

 

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di Gaetano Galderisi

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