Foto Agostino Amore Genny Ronker

 

di Gaetano Galderisi, psichiatra e psicoterapeuta

Il bello negli occhi, can’t take my eyes off you.

Sempre ci viene spontaneo dire questo è bello e questo è brutto, perché è così che lo vediamo. Siamo un tutt’uno con i nostri occhi.
In questo ci viene facile dirimere, guardando e giudicando, provando emozioni.

La bellezza è dentro i nostri occhi, semplicemente cerchiamo gli oggetti che la rappresentano.

Ma perché l’esistenza è sempre un rimbalzarsi fra bello e brutto?

Certo direte voi quello ch’è bello è bello e quello ch’è brutto è brutto, purtroppo ci tocca dividere. Che altro c’è da dire?

Comunque sia dirimere fa parte dell’esistenza e ci necessita di scegliere.

Vivere è scegliere, sempre e comunque.

Ma, pensandoci, è questa l’attitudine che ci fa umani, ch’esprime una logica, l’idea che solo noi abbiamo d’un futuro che ci piace, una sintassi di ragioni, che trasforma in discorso le nostre sensazioni profonde, quei percorsi emotivi, che ci guidano, ai quali, fortunatamente riusciamo a dare significato in parole, così da poterci ragionare sopra, evitando scelte istintive.

Gli occhi sono sempre lì a guidarci, illuminano il giorno d’ogni vita. Ma poi non riusciamo solo a guardare scegliamo le parole per dire quanto sentiamo.

Ci viene spontaneo questo passo.

Parlare è stato il primo passo verso la nostra umanità: comunicare in parole ciò che attira e respinge.

Le parole ci hanno donato il pensiero. Tutte le parole: quelle del bello e quelle del brutto. Quelle dell’amore e quelle dell’odio, della pace e della guerra.

In fondo non c’è emozione, per quanto sublime, che possa essere pari con una sola parola, sia pure la più semplice, ma messa in armonia coi sentimenti e diretta al cuore.

I Jersey Boys, fonte foto Wikipedia

La parola è un suono chiaro che comprendiamo tutti.
Tanto che, mettendone insieme alcune, possono diventare una canzone trascinante, immortale, ma composta di parole facili ed immediate, addirittura composta da ragazzi italo americani di periferia.
Ma le parole sono qualcosa di più, molto di più d’una canzone.

Sono il soffio dell’intelligenza, una morale, una poetica ed una filosofia, elementi interiori, che solo si possono esprimere in parole.

Trasformando gl’istinti in ragionamenti possiamo interpretare l’emozioni con parole semplici ma profonde, come ognuno di noi può fare.

Ma più di tutto abbiamo scoperto da millenni la parola amore, l’abbiamo rivoltata in mille modi ma non l’abbiamo mai disgiunta dalla parola bello.

Quindi la parola più semplice, più spontanea, alla portata di tutti, e che ci viene spontanea è chiamare bello ciò che possiamo amare, che ci riempie gli occhi fino al cuore, ed è ciò che fa crescere il nostro amore per la vita con tutto ciò che ne segue e la dolcezza che l’accompagna. Ci sostiene e c’illude.
Quello che chiamiamo il bello della vita è poi l’amore fatto d’infinite emozioni.

Passa per gli occhi e si diffonde, ci scorre dentro. È la cosa nella quale ci rifugiamo ma, soprattutto, c’immerge nei momenti di gioia e ci richiama alla vita, al piacere di viverla.

Dipende poi da ciascuno, per quanto ne voglia e per quanto ne sappia, far crescere questo patrimonio d’affetti trasformandolo in arte, scienza, passioni ed altro.

 

Quindi bello non è solo giudizio estetico, un’immediatezza emotiva, ma arriva al fondo di tutta la mente, è quell’istinto vitale, che accomuna, stringe insieme, i mille fili dei sentimenti, rimane a comandarci nelle scelte ed a guidarci.

il principio del piacere direbbe Sigmund Freud, il significato profondo dell’esistenza che dobbiamo difendere da ogni bruttura.

Così in quella parola bello c’è molto di noi stessi, perché è lì che coincidono tanti valori accomunati e fusi insieme, un mosaico, che in quella parola trova il suo compattarsi.

Anche solo per un momento, un soffio della vita.
Così, il bello è un attraversamento degli occhi, ma dopo è quello che ci muove dentro, un attraversamento degli stati emotivi risvegliati, laddove tutto si concentra, si mischia e si racchiude.

Accende luci nella più nera delle tristezze e rivitalizza ogni forma di desiderio e d’amore. Tocca ogni corda di quanto ci piace

I Jersey boys si erano dati anche un altro nome:”four seasons”, “le quattro stagioni”.

Di Vivaldi direte? No gli piaceva la pizza “Quattro stagioni”. In fondo erano italo americani, ragazzi semplici che mischiavano un poco le cose di dentro. Ma per loro era bello così. Come lo è per noi. Del resto.

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di Gaetano Galderisi

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