Collezione “Fructus, Terra: Lux et Spes”

COSENZA. Provate a passeggiare per il centro storico della vostra città. Con un po’ di fortuna vi imbatterete in vicoletti suggestivi e panorami mozzafiato. E se il modo migliore di vivere un luogo fosse indossarlo? È quello che fa Luigia Granata, trasformando la sua arte in abito culturale.

 

 

Dalla Carta alla Seta, l’arte si trasforma in abito culturale

 

 

I dipinti della fashion designer identitaria cosentina diventano articoli di design, abiti ed accessori, che portano a passeggio la storia, i personaggi e le tradizioni di un territorio.

 

 

Luigia, quanto hanno influito le sue radici sulla sua carriera?

 

«Sono cresciuta fra i boschi del Parco Nazionale della Sila, a stretto contatto con la natura. Durante i lunghi inverni trascorsi davanti al caminetto, ascoltavo i racconti dei nonni e dei vicini più anziani. Tutto questo ha profondamente condizionato e continua ad influenzare il mio percorso professionale».

 

Ci racconta com’è nata l’idea dell’abito culturale Made in Italy?

 

«Nel 2006 avevo creato una collezione di shopper in canvas “pubblicitarie”. Durante le mie mostre ne omaggiavo i clienti che acquistavano i quadri. Erano già esse stesse la stampa dei quadri. Da lì molte persone iniziarono a chiedermi di poter acquistarne qualcuna in più da regalare alle amiche. Così è nata la prima collezione Dalla Carta alla Seta, l’arte a Passeggio».

 

È stato allora che si è avvicinata alla moda?

 

«Diciamo che è stata la scintilla di una brace che già covava. Sin da ragazzina immaginavo di vestire il mondo a colori. Mia madre, una bellissima donna mantovana, era una cantante e per il suo lavoro vestiva da favola. Con i suoi fantastici abiti anni Sessanta mi faceva sognare ad occhi aperti».

 

 

Quando ha deciso di creare un brand tutto suo?

 

«Il progetto del mio brand nasce nel 2011 con la collezione di foulard e oggetti di arredo Diario d’artista.  Nei miei dipinti raccontavo la storia di persone conosciute durante i miei viaggi di lavoro, come se fossero pagine di un diario per immagini, dipinti che poi trasferivo sulle sete preziose di Como. Era molto forte il desiderio di far uscire l’arte dai luoghi comuni, come gallerie, musei, spazi espositivi, e portarla nelle piazze, fra la gente, in modo diverso. Indossandola.».

 

Come si realizza un abito culturale?

 

«C’è un lungo studio prima di arrivare al capo finito: realizzo interviste, raccolgo molte informazioni e le trasformo in un dipinto narrante. Successivamente, attraverso un progetto grafico, il dipinto viene preparato per la stampa sul tessuto. Ogni creazione è un pezzo unico, proprio come un’opera d’arte».

 

La Calabria, una miniera di ispirazione

 

Studi approfonditi hanno consentito a Luigia di esplorare e raccontare le minoranze etniche in Calabria, la cultura Arbereshe e i grecanici: «Per gli Occitani Valdesi – spiega la stilista – ho realizzato una serie di sei dipinti narranti e sei abiti culturali, esposti in forma permanente nel museo di Guardia Piemontese e acquisiti grazie ad un progetto della chiesa valdese».

 

 

E poi c’è la collezione dedicata ai borghi della Calabria, che lei definisce «una miniera di ispirazione»…

 

«Una collezione che ha veramente trasformato il mio sogno in realtà è stata Caminannu ppe Cusenza, presentata nel 2015 al castello svevo con una grande sfilata. La collezione è dedicata al centro storico della città bruzia e ai suoi monumenti più importanti, ma ha girato il mondo».

 

Un’altra collezione molto significativa per l’artista è stata una serie di dieci kimono in pura seta con china acquerellata su fondo oro, argento o avorio, «capi unici esposti a Parigi e che hanno sfilato a Milano».

 

E ancora Fructus, Terra: Lux et Spes, che ha avuto un grande successo all’esposizione mondiale Expo Milano 2015: «Una serie di foulard e caftani dedicati alle eccellenze agroalimentari della Calabria».

 

 

L’abito culturale fa il giro del mondo

 

Da oltre dieci anni crea abiti ed accessori personalizzati, ma qual è il capo più bello che ha realizzato?

 

«Tutti gli abiti sono come dei figli, perché su ognuno di loro c’è un mio dipinto, c’è una storia, c’è un racconto. Il più bello devo ancora crearlo».

 

E la collezione che più la rappresenta?

 

«Quella che più mi rappresenta è sicuramente la collezione Arte del 2011, che include dipinti autobiografici trasferiti su sete e altri tessuti pregiati».

 

 

A cosa sta lavorando attualmente?

 

«Lo scorso dicembre ho presentato ad “Artigiano in Fiera” a Milano – alla presenza di Sergio Cammariere e dell’assessore regionale – la nuova collezione dedicata a Vibo Valentia e alle leggende del Vello d’oro, di Scilla e Cariddi e dell’oracolo Manto di Capo Vaticano, che sono diventate anche giacche da chef di un noto resort. La prossima creazione, già pronta alla stampa, è dedicata ai mosaici della villa romana di Casignana».

 

Dagli Stati Uniti al Canada fino ad arrivare alla Cina, le sue opere sono esposte un po’ in tutto il mondo. Dove porterà le sue prossime creazioni?

 

«Qualche giorno fa si è conclusa a Dubai una mostra organizzata da Confartigianato Imprese Calabria. Spero che le mie creazioni continuino a “passeggiare” fra la gente, in tutte le piazze del mondo».

 

Cos’è il bello per Luigia Granata?

 

«Il bello è armonia, gentilezza e rispetto. È anche il giusto atteggiamento di cura verso Madre Terra. Il bello è tutto ciò che nell’osservatore provoca uno stato di benessere e di gioia al cuore».

 

stampa

di Mariana Cavallone

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