di Oreste Mottola

 

Da Eboli a Valva sulla Via del Grano


“…Recidendo monti, livellando valli, superando con idonei ponti fiumi e torrenti, fu costruita questa strada rotabile nell’anno 1797”, è quello che è possibile leggere ancora oggi, tra Eboli e Campagna, in località Epitaffio.

La “Via del Grano” venne progettata e in parte realizzata nel 1797, ma fu completata agli inizi dell’Ottocento. Collegava Napoli e la provincia di Salerno alle altre province del regno, il mar Tirreno all’Adriatico, attraversando le valli del Sele (Campania) e di Vitalba (Basilicata), giungendo a Lavello (Basilicata),dopo 105 miglia, quasi duecento km, nelle aree cerealicole pugliesi e lucane, dopo aver collegato fra loro numerosi comuni Campani, Lucani e Pugliesi.

La strada incrementò il commercio ma anche la circolazione delle idee, in particolare della musica, Donizetti, tanto per fare un cognome. in un periodo storico caratterizzato da guerre, da profonde lacerazioni e contraddizioni. Gli autori hanno ripercorso le 60 miglia napoletane di questo Geoitinerario, dall’epitaffio di Eboli ai Piani di Lavello, riproponendo gli scritti e le vicende storiche e descrivendo le opere civili ed ingegneristiche superstiti, quali ponti, fossi, muretti a secco, canalette, colonnette miliari, progettate e realizzate dal Real Corpo di Ponti e Strade, ma anche le dogane, le antiche taverne e le poste.

Lo studio intende sollecitare la salvaguardia, il recupero e la valorizzazione di questi manufatti, dichiarando la Via del Grano o “Cammino di Matera”, così denominato nelle cartografie dell’epoca, “patrimonio culturale delle comunità locali”.

Il ministro Sangiuliano finanzia il restauro dell’Epitaffio

Piccola lezione di giornalismo vecchio stile, la notizia dov’è?

“Il ministro della cultura Sangiuliano ha accolto la mia richiesta per il restauro del monumento Epitaffio . Ha stanziato dalla relazione tecnica effettuata il 27 settembre 2022,un importo di euro 194.579,17”.

Lo rende noto Damiano Faccenda, noto sia come valente infermiere e caposala all’ospedale di Eboli che come divulgatore dell’antica “Via del Grano” che dalla Puglia, passando per Matera, permetteva di rifornire l’antica capitale meridionale. E’ da millenni che tutti i regimi politici e i Re si sono giocati il potere a Napoli sul fatto di far arrivare i rifornimenti alimentari costanti, e con i prezzi calmierati. “In galera li panettieri…”, è il grido che ancora risuona tra i vicoli partenopei.

Con Damiano ripercorro l’antico percorso seguendo, come moderni pollicini, i cippi stradali borbonici, piantati ad ogni 1845 metri, mille passi d’uomo.

Furono i Borboni ad ideare la strada che, via terra, portava il grano del Tavoliere delle Puglie a Napoli. Ha tratti romanzeschi, la storia del tratto iniziale, che da Eboli arriva ai confini con la Lucania.

L’ultimo intermezzo di potere borbonico beneficiò molto, io credo in maniera decisiva, dell’iniziativa che andremo da qui a raccontare.

Erano i tempi di quando il marchese di Valva ricopriva l’incarico di ministro dei lavori pubblici del Regno e semplificò subito l’iniziativa. L

a strada verso la terra del grano fu allungata proprio nelle proprietà del marchese di Valva per dotare il suo feudo di una strada, a spese dello Stato. Da Eboli si giungeva così ai confini della Basilicata ed il più era fatto, saltando a piè pari i problemi degli espropri. Ad avercele queste soluzioni. 

Il castello di Valva

Valva, mithus vivit, quando il mito torna a vivere. Con le storie di dei e ninfe scolpite nella pietra dalla mano dello scultore fiorentino Donatello Gabrielli, il Castello dei d’Ayala Valva è l’emblema dell’incontro con la bellezza. Prima ancora qui era di casa l’abbondanza, con la produzione di grandi derrate alimentari: vino, olio e grano. “Vino Valva da Mezzo taglio: Rosso, schiuma rossa che conserva a lungo, sapido, brillante, fresco, armonico con leggero profumo sui generis, sebevole, acidulo, alcole da 13 a 14°; vini da pasto da 11 a 11,5°”. Ed ancora: “tra i vitigni più rinomati: aglianicone, aglianico uva di Troia”.

E’ quanto troviamo scritto in una vecchia relazione agraria dei primi del Novecento. Nella villa – castello una botte in rovere di Slavonia, da 365 quintali di vino: “mansueto gigante in legno che aveva ospitato interi vigneti nelle sue branchie”, scrive Diomede Ivone, poi diventato un prestigioso docente universitario ma nel 1958 era solo un giovane aspirante giornalista, quando visita il paese.

La Puglia è qui

Valva: valico e snodo importante sulla via del grano tra la piana del Sele ed il Tavoliere delle Puglie. Produceva e tanto quell’Azienda Marchesale di Valva, che si estendeva tra le province di Salerno ed Avellino. La proprietà era di una casata nobiliare che risiedeva tra la Puglia e la Svizzera.

Uno scatto in avanti l’aveva avuto dal marchese Giuseppe Maria Valva che, di fatto era il ministro dei lavori pubblici con il re Ferdinando IV, quando questi, nel 1789, lo incaricò di costruire la strada che da Eboli portava fino ad Atella in Basilicata, comunemente chiamata la Via del Grano.

Collegava il Tirreno con l’Adriatico, facendola passare per il territorio di Valva. E il suo feudo ne ricevette una straordinaria valorizzazione. Come scrisse nella sua tesi di laurea Monica Losco, oggi dirigente del Collocamento di Eboli: “Nel delineare il tracciato, il Marchese allungò di molto il percorso, con varie giustificazioni, per farlo passare nei suoi possedimenti di Valva, anziché utilizzare il passaggio naturale della Sella di Conza”. Ed ancora “La strada di Matera fu così allungata nelle proprietà del marchese di Valva per dotare il suo feudo di una strada, a spese dello Stato”. Niente di nuovo sotto il sole.

Tra i fantasmi di un uomo solo

Ticket da tre euro ed eccoci tra la statue delle “bellezze muliebri che il marchese ha conosciuto nei viaggi e di cui ha voluto conservare, nel marmo, una memoria più duratura di una fotografia”, come raccontò allora al cronista Emilio Grassi, il settentrionale che dirigeva l’azienda.

“Ne ha spesi di soldi per i nudi e le statue”, aggiunse l’amministratore dei beni del marchese.

“Campare di turismo? E’ ancora una velleità: ci mancano alberghi e ristoranti. Si sta però provvedendo”, sospirano le guide turistiche, che solo nei fine settimana, accompagnano i turisti nel bosco delle meraviglie. “… Si viene risucchiati dall’inquieta fantasia del marchese, si soggiace ai miti che hanno guidato la sua fantasia di uomo solo”, racconta sempre Diomede Ivone.

Erano passati solo pochi anni da quando l’ultimo marchese, Balì dell’Ordine di Malta, scapolo e senza eredi, aveva lasciato tutte le proprietà al blasonato ordine cavalleresco.

I suoi sogni

Il parco è popolato non solo dai richiami quasi onirici del nobiluomo: fate ed elfi, poi teatranti e dame. Ed anche i briganti: uno di loro, l’Anselmi fu quello che uccise il potente fattore Falcone.

Lo fucilarono proprio all’ingresso ed una piccola croce nera, nell’unica pietra a vista, testimonia ancora oggi l’accaduto, piccola icona della “storia bandita” del nostro sud. E’ il sapore del passato che prende il visitatore ad ogni passo: clima da new age, atmosfere da “Signore degli anelli”, siamo nel giardino di “verzura” all’italiana, coltivato “all’inglese”, ovvero che tende alla rinaturalizzazione è anche nel paese. Il bosco è pieno di grandi abeti rossi e poi platani giganteschi.

Le statue richiamano la mitologia che aiutava il “titolato” a farsi ragione di una quotidianità non esaltante: Apollo e Dafne, Tritone, Amore e Psiche, e poi la Fontana delle Triadi. Ercole è lì, ma è stato capitozzato dai ladri.

C’è poi la meraviglia di quell’anfiteatro all’aperto dove un centinaio di statue faceva compagnia al barone d’Ayala (”mi raccomando con la d minuscola”, mi dicono Gerardo Palombo, e le altre guide turistiche) quando quasi da solo guardava gli spettacoli delle compagnie di guitti che passavano.

Teste di pietra d’uomini e donne, che dalle siepi sembrano ascoltare le voci del bosco, sono rivolti verso un palco vuoto, due stanze laterali sembrano fungere da vallette.

Pubblicità zero e tutti col sangue blu

 

Ancora oggi è luogo di concerti lirici, spettacoli, poiché la splendida acustica di questa struttura ne esalta l’esecuzione.

Aperto solo nei fine settimana, Villa d’Ayala, pubblicità zero, fa segnare tremila visitatori all’anno.

“Dobbiamo ringraziare gli operai della comunità montana dell’Alto e Medio Sele se viene pulito”, raccontano ancora le guide. I visitatori illustri non mancano: la notte dell’11 aprile 1807 Giuseppe Bonaparte, re di Napoli e della Sicilia, chiese ed ottenne asilo per una notte e alle prime luci dell’alba ripartì.

Nel 1943, vi si trattenne il maresciallo Kesselring che vi aveva fatto attrezzare un ospedale per i suoi soldati. “Siamo il più pugliese dei paesi salernitani”, dicono a Valva, perché questo è il paese che si trova sulla vecchia strada del grano, quella che da Eboli porta alla Puglia. E da Taranto vengono i d’Ayala che hanno via via soppiantato i Valva. Dai paesi vicini si divertono a prenderli in giro: “I valvesi? Tutti col sangue blu. Discendono dal marchese quando c’era ancora il jus primae noctis”. ” Qualche fondamento, qui come altrove, c’era fino a tre secoli fa”, raccolgono oggi nient’affatto arrabbiati. In realtà la storia del paese è fortemente intrecciata con quella dei Valva prima e dei d’Ayala dopo e siamo tutti parenti tra noi.

Nei paesini non è certo una novità. L’Azienda Marchesale (”questa va scritta con le maiuscole”, raccomanda Palombo) aveva migliaia di ettari di terreno: da Colliano, Laviano e poi Teora nell’avellinese. Le produzioni di olio e vino erano incalcolabili così come il numero delle persone che vi trovava lavoro. “Quando durante l’estate il nobiluomo lasciava la sua residenza di Losanna e veniva a trascorrere un periodo di vacanze al castello, ogni tanto, la sera, salivo a fargli compagnia.

L’arte era il suo argomento preferito. Qualche volta suonava il pianoforte, e componeva. Tra le carte che ha lasciato ci deve essere anche qualche sua opera…”. Racconta a Diomede Ivone, nel 1958 , don Lorenzo Spiotta, “gagliardo sacerdote ottantenne della chiesa di San Giacomo Apostolo”. Questa è la storia che finisce nel 1951.

Dopo si apre il capitolo dell’emigrazione nei quattro angoli del mondo, della formazione di una nuova proprietà terriera e lotta dei contadini per la raccolta delle olive. Arriva poi il terremoto del 1980.

Valva è capace di una ricostruzione che ancora oggi è additata ad esempio. Il centro storico, è uno splendido esempio di ricostruzione artistica. Pur quasi totalmente raso al suolo, le amministrazioni guidate da Michele Figliulo, che poi è uscito indenne da novantanove processi, si impegnarono in una ricostruzione fedele a quanto era andato distrutto, furono numerate le rovine delle case cadute permettendo in questo modo di riprendere la vecchia architettura fusa ad una moderna ricostruzione del centro abitato.

Terra aristocraticamente misteriosa

Valva terra aristocraticamente misteriosa. Numerosi sono stati i reperti archeologici risalenti al I secolo venuti alla luce nel 1937, tra cui un grande cippo commemorativo addossato ad un muro di terrazzamento del terreno ed una lapide dedicata all’Augustale Caio Spedio Atimeto dal figlio Caio Spedio Asiatico.

Quest’ultima, saltata fuori alla Fabbrica, fu trasferita in paese e fatta murare sulla parete di una delle tante meravigliose grotte del parco dei Marchesi di Valva.

Fuori dalle mura resiste però quella piccola croce per quel brigante che scannò il massaro Falcone.

stampa

di admin

Condividi
Potrebbe anche interessarti

Omaggio al conte palatino Melchiorre Guerriero

Omaggio al conte palatino Melchiorre Guerriero Domani Campagna celebrerà Melchiorre Guerriero. Lo…
Condividi

La sicurezza informatica dipende da noi?

Quante volte ci siamo sentiti ripetere che la sicurezza informatica dipende da…
Condividi

Memorial Antonio Cucco: Acciaroli ricorda un suo illustre cittadino

ACCIAROLI. Si terrà giovedì 14 settembre, presso il piazzale del Porto di…
Condividi