Gregorio de Falco

Costa Concordia, Gregorio de Falco: “Quelle persone potevano salvarsi”

“Guardi Schettino che lei si è salvato, forse, dal mare, ma io le faccio passare l’anima dei guai. Vada a bordo! Cazzo!”
Così il comandante Gregorio de Falco richiamava al dovere il comandante Schettino che, mentre la Costa Concordia affondava, si rifugiava su una scialuppa di salvataggio.

Trentadue furono le vittime del naufragio al largo dell’Isola del Giglio. Una tragedia che poteva essere evitata.
Sabato 13 gennaio, dodici anni dopo quei tragici fatti, il comandante Gregorio de Falco che allora era capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno, ha incontrato gli studenti del liceo scientifico “A. Gallotta” di Eboli diretto da Anna Gina Mupo.

Nelle concitate ore del naufragio Gregorio de Falco, capo della sala operativa della Capitaneria di porto di Livorno, coordinò le operazioni di soccorso con fermezza e professionalità.
Comandante de Falco, ha incontrato Schettino dopo la condanna?

“No”.
Ha avuto dei contatti con lui?
“Nessun contatto, tranne quelli dell’aula giudiziaria”.
C’è un ricordo ricorrente di quella esperienza?
“Penso a quelle persone che non avendone il dovere si sacrificano per gli altri. Penso a Giuseppe Girolamo, il batterista che lasciò il proprio posto a una signora e a dei bambini che altrimenti non avrebbero avuto modo di accedere alla scialuppa. Cedette il suo posto nell’ultima scialuppa e perse la vita perché non sapeva nuotare. Giuseppe Girolamo è un eroe perché fece qualcosa che era ben al di là di quanto ci si possa, umanamente, attendere”.

Cosa mancò in quelle ore?
“Venne meno l’autorità costituita di bordo, il comando. Su una scialuppa da calare in mare a quaranta, cinquanta metri dalla costa non c’era la necessità di rispettare la norma tecnica che impone una capacità massima studiata, in generale, perché i naufraghi possano affrontare l’oceano e giorni e giorni di navigazione. Si poteva e l’autorità avrebbe dovuto derogare e consentire l’imbarco di quante più persone era possibile”.
Potevano salvarsi tutti?
“Certo. Su ogni scialuppa potevano essere imbarcate anche duecento persone, ma a causa della fuga di chi deteneva l’autorità nessuno diede ordine di superare la regola non funzionale, in quella circostanza, alla salvezza delle persone”.
Si applicò una norma inadeguata al contesto.
“Una norma valida nell’oceano Indiano, nell’oceano Atlantico, quando la scialuppa resta in mare per dieci giorni e si considerano le riserve di acqua, di cibo e la necessità di avere spazi vitali”.
Il bello é che ci fu anche chi si distinse.
“Ci furono gli eroici comportamenti di Giuseppe Girolamo, ma anche degli aero soccorritori della Guardia Costiera, del vice sindaco dell’Isola del Giglio Mario Pellegrini e di ufficiali di bordo. Purtroppo si verificò ciò che non dovrebbe mai verificarsi, in qualunque comunità, la mancanza del Comando. Furono infatti condannati perché disattesero gli obblighi giuridici del proprio ruolo, ma fu una mancanza etica, prima ancora che giuridica”.
Si poteva delegare qualcuno al comando della nave?
“La questione è complessa e rimanda al Codice di navigazione, ma non si trattò di un vuoto giuridico, si trattò di un vuoto umano”
Nelle prime ore pensò che avrebbe potuto salvare tutti i passeggeri?
“Nelle fasi inziali pensai che sarebbe stato complesso, ma non difficile salvare in quelle condizioni, tutto sommato buone, quattromila persone, pensai che avendo una buona integrazione con il Comando di bordo, non ci sarebbero state vittime”.
C’è qualcosa che non ha mai detto di quella notte?
“No. Debbo anche dire che i vari gradi di giudizio, le inchieste giornalistiche, i podcast sulla Concordia sono stati fatti bene. Manca però una sintesi adeguata”.
Qual è la sintesi?
“La nave è una comunità, in quel caso, una comunità alla deriva priva di propulsione e di Autorità. Ci sono forme meno evidenti, ma altrettanto devastanti di mancanza di autorità, per esempio quando la politica non affronta i problemi veri del Paese e si attarda, come vediamo oggi, su questioni di costume e semplice malcostume.
Così si produce una società indifferente e l’indifferenza è il veleno della società. L’indifferenza, l’ignavia e la mancanza di considerazione dell’altro fanno naufragare le navi e fanno crollare le società”.
Lei pensa che ci siano altri Schettino sulle navi?
“Sulle navi non so, ma in Italia ce ne sono tanti”
Prima di scegliere dove andare in crociera si informa sulla nave e sul comandante?
“Le navi da crociera sono molto sicure, quello che non è sicuro, talvolta, è l’uomo, ma il problema riguarda in realtà la vita quotidiana, non certo la serietà e la generosità degli uomini di mare”.
Ricorda le emozioni più forti di quella notte?
“Ricordo tutta quella notte. Non fu soltanto una telefonata, furono nove o dieci ore di vera battaglia per coordinare cinquanta unità navali tra motovedette e navi. E, soprattutto, il dramma era l’assenza dell’interlocutore, cioè dell’autorità di bordo. Sulla nave vi fu una vera e propria anarchia. Molti ufficiali si diedero da fare. Ma mancava l’ unitarietà della catena di comando. Questa circostanza rese difficili le operazioni di soccorso. A ciò si aggiunga la protratta mistificazione iniziale dei fatti che, però, non ci trasse in inganno a lungo. Ci fu un sostanziale silenzio, la mancanza di rappresentazione reale della situazione”.
Si sarebbero potuti salvare tutti i crocieristi?
“Si, se a bordo ci fosse stata l’autorità. Avrebbe dovuto esserci anche per confrontarsi sulla propria responsabilità. Alcune scelte tecniche adottate a bordo come sbracciare per prime le lance di dritta lasciando il lato sinistro, non si capisce ancora per quale motivo, comportò un’ulteriore perdita di stabilità della nave. Scelte sbagliate tecnicamente da cui derivò anche l’impossibilità di mettere a mare poi alcune scialuppe sul lato sinistro. Ogni scialuppa aveva capacità per centocinquanta persone. Seicento, settecento persone non poterono sbarcare con le scialuppe. Fu messa a mare una biscaggina sul lato sinistro e tutti ricordiamo quelle immagini. Questi ed altri errori portarono ritardi e la morte per trentadue persone”.
Poi arrivarono le condanne.
“Furono condannati non solo il comandante, ma anche molti ufficiali che non presero in mano la situazione. Chiesero il rito abbreviato, patteggiarono ammettendo le proprie responsabilità”.
Ha ricordato a Salvini che tutti i naufraghi vanno salvati.
“Si. In quell’ambito il problema è che si continua a chiamarli profughi, immigrati, ma si mistifica la realtà. L’autorità nel soccorso non deve distinguere tra migranti e diportisti o altri naviganti. Tutte le persone in mare che sono in pericolo sono naufraghi e vanno salvate”.
Tornerà in politica?
“Tornerei alla politica se la politica tornasse alla società”.
Cosa pensa del generale Vannacci?
“Ha preso delle scorciatoie.
Il generale Vannacci ha delle proprie convinzioni, non le giudico, per quanto siano agli antipodi dalle mie. Ritengo che un militare debba, innanzitutto, servire lo Stato prima che se stesso”.
Comandante lei non fa mai il nome di Schettino. Perché?
“C’è una necessaria spersonalizzazione dei rapporti. La Pubblica Amministrazione e coloro che ne fanno parte hanno un ruolo, indipendentemente dalla persona fisica del funzionario. Io sono stato colui che ha coordinato i soccorsi e lui era il responsabile del comando di quella nave. Non c’è alcun tipo di rapporto personale”
E’ stato insignito di numerosi riconoscimenti, qual è il premio che più desidera?
“Mi piacerebbe sapere di aver avuto ragione e che il sacrificio di Giuseppe Girolamo possa essere preso a riferimento come paradigma di vita e soprattutto nella conduzione della cosa pubblica. Mettere gli altri prima di sé serve a dare un senso alla nostra vita”.

 

Costa Concordia, Gregorio de Falco: “Quelle persone potevano salvarsi”

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di Ornella Trotta

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