Lo storico Rubino Luongo

L’epistolario di Marco Filiuli tradotto da Rubino Luongo. Sabato la presentazione

Cultura significa memoria e lo sa bene Rubino Luongo, docente di lettere classiche e poi preside, intellettuale raffinato, storico attento, autore di numerose pubblicazioni che, sabato 24 giugno, alle ore 19,00, presenterà a Campagna, nella sala Gelsomino D’Ambrosio, la sua ultima creatura: “Marco Filiuli (Fileto), le lettere”.

Si tratta della traduzione di cento lettere di Marco Filiuli (Fileto), filologo, linguista, poeta e uomo di lettere, nato a Campagna forse nei primissimi anni del XVI secolo e  promotore, con il coetaneo G. Antonio  De Nigris, della venuta a Campagna, nel 1545, della stamperia ambulante del tipografo Francesco De Fabris da Corinaldo

Perché ha realizzato questo lavoro?

“La prima molla è stata la curiosità. La curiosità che mi ha spinto ad indagare più a fondo il mondo, la cultura e l’umanità di questo intellettuale del Cinquecento di cui avevano scritto le cronache campagnesi, ma di cui in realtà nulla si sapeva all’infuori del fatto che aveva promosso la venuta a Campagna della stamperia ambulante di Francesco De Fabris da Corinaldo. Ho cominciato a tradurre qualche lettera e poi, una dopo l’altra, mi sono trovato in mano la traduzione dell’intero epistolario. A questo punto non mi è rimasto che pubblicarlo”.

Com’era il mondo di Filiuli?

Il bello é che La prima cosa che mi ha colpito è stato che egli grecizzò il suo nome, come era uso nelle accademie umanistiche del suo tempo, così chiamandosi Fileto. Il termine viene dal greco philetòs, che significa amato, voluto bene, quindi caro agli amici”.

Era davvero amato e voluto bene dagli amici?

“Credo che si tratti di un progetto di vita, con la ricerca  continua dell’amicizia in tutti i luoghi ove svolgeva la sua attività (la Capitanata, il Sannio, il Molise, l’Abruzzo, le Marche, Venezia).

Perché ovunque egli andava lasciava traccia di amici e ne pretendeva frequenti rapporti epistolari”.

L’epistolario di Marco Filiuli tradotto da Rubino Luongo. Sabato la presentazione

Chi sono i suoi interlocutori?

“Sono i suoi concittadini di Eboli e di Campagna, legati da antichi vincoli di consuetudine fraterna, ma anche scrittori e letterati con i quali egli, in un epistolario scritto in latino, condivideva una sorta di repubblica delle lettere, tutti solidali nel vincolo unico della cultura. E poi ci sono i referenti della classe dirigente napoletana: feudatari, giovani nobili abbisognevoli di formazione culturale, dame d’alto lignaggio, alte gerarchie militari”.

Che rapporti ebbe con la classe dirigente napoletana?

“Filiuli proveniva da un ceto subalterno e con essi i rapporti non furono sempre alla pari.

Filiuli aspirò al ruolo di intellettuale organico al ceto dominante, di cui riconosceva ruolo e dignità sociale (ma non senza, vorrei dire, rilevarne con amarezza, a volte con sdegno, insufficienze e carenze umane)”

A costoro egli chiedeva ruolo e visibilità sociale ed in cambio offriva il vantaggio della cultura, quella, egli diceva, delle sue lunghe notti insonni passate sui libri. Ed è bella questa rivendicazione di forte impatto civile, fatta da Filiuli, dell’altissimo ruolo svolto dalla cultura e dagli intellettuali.

E poi c’é la stamperia ambulante

“La seconda cosa che mi ha colpito è quella d’aver promosso la venuta a Campagna della stamperia ambulante di Francesco De Fabris da Corinaldo. Evento che non avrebbe potuto verificarsi se Campagna non fosse già sede di uno Studio Generale e se non annoverasse al suo interno un folto stuolo di intellettuali, di prima generazione come Giovanni Benedetto e Antonello Tercasio, Melchiorre Guerriero e Antonio Tronolo, di seconda generazione, come appunto Marco Filiuli, Costantino Papa, Berlingiero Bernalla, Luigi Tronolo , Vincenzo e Benedetto De Risi e, maggiore di tutti, Giovanni Antonio De Nigris”.

A Campagna viveva un’élite intellettuale.

“Certo, un’abbondanza che ci accerta della vitalità culturale a quel tempo di Campagna e della intera provincia regnicola (bisogna ricordare, ad esempio, che nella prima metà del secolo fiorivano ad Eboli anche Bernardo Silvano, Giulio Clario e Prospero Caravita, a Giffoni i due fratelli Gaurico).

Questo ci autorizza a qualche puntualizzazione ed a qualche necessario ridimensionamento, quando si afferma dalla storiografia che Napoli fu testa troppo grande e che assorbì tutte le energie del Regno”.

Il Cinquecento fu il secolo d’oro di Campagna.

“Si parla del Cinquecento come del secolo d’oro per Campagna, quello in cui il Paese si trasformò da piccolo borgo rurale qual era in città fornita di importanti istituzioni culturali, civili e religiose.

Merito certamente in larga parte di Melchiorre Guerriero, ma anche merito imprescindibile di una cultura che fece del piccolo centro silentino un faro di intellettualità e di economia pregnante”.

Quanto sono lontani i fasti di allora dalla Campagna di oggi?

“Come nella prima metà del Cinquecento Campagna attraversa oggi una nuova fase decisiva della sua storia e mi domando se esiste ancora oggi, nell’attuale contesto, una cultura che possa essere trainante per una nuova rifondazione. Io dico di sì, basta saperla riconoscere e valorizzarla”.

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di Ornella Trotta

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