Bradisismo flegreo

Il bradisismo nei Campi Flegrei preoccupa da tempo gli abitanti delle zone di Pozzuoli e limitrofe. Scosse anche forti sono stata avvertite fino a Napoli. Ma cosa sta accadendo? Ne parliamo con un esperto, il professor Giuseppe Pucciarelli.

 

Prof. Giuseppe Pucciarelli

 

Dottore di ricerca in Fisica specializzato in Geofisica, già assegnista di ricerca all’Osservatorio Vesuviano, Giuseppe Pucciarelli è attualmente docente di matematica e fisica presso il Liceo Classico – Scientifico “F. D’Ovidio” di Larino (CB).

 

Prof. Pucciarelli, che cosa si intende con “bradisismo” e quali sono le differenze, se ce ne sono, con un terremoto?

 

Sono due fenomeni sostanzialmente diversi.

Il bradisismo è un lento sollevamento/abbassamento del suolo (generalmente, circa 1 cm l’anno) dovuto a una risalita/diminuzione di fluidi (gas, fluidi idrotermali, “iniezioni” di magma).

 

Campi Flegrei visti dall’alto

 

Il terremoto è un fenomeno generato dallo scorrimento di una parte di superfici deboli della litosfera, dette faglie, sull’altra. Scorrimento che avviene al raggiungimento di una determinata pressione litostatica che produce una “rottura” in un punto specifico della faglia (detto “ipocentro”). L’energia della rottura arriva superficialmente (la proiezione superficiale dell’ipocentro si chiama “epicentro”) tramite onde elastiche che sono le notorie “onde sismiche”.

Questo per ciò che concerne i terremoti “tradizionali”, quelli tettonici.

I sismi generati dal bradisismo sono dovuti a questa risalita di fluidi che inarcano la crosta terrestre e la “fratturano”, provocando questi terremoti e facilitando ulteriormente la risalita di fluidi.

Poi, vi è una differenza macroscopica tra i terremoti tettonici e quelli bradisismici. I primi hanno una profondità che difficilmente è minore di 7-8 km e le scosse hanno una durata temporale che mediamente va dai 20 ai 30 secondi. I secondi hanno una profondità nell’ordine del km e durano al massimo una decina di secondi.

 

La Campania è terra ricca di vulcani attivi. Ce ne sono anche di sommersi: quanto sono pericolosi e perché non se ne parla?

 

Sicuramente il pensiero corre al Marsili, vulcano sommerso lungo 70 km e largo 30 km situato nel Tirreno Meridionale tra Campania e Calabria. Con una superficie di 2100 kmq e con una profondità tra i 500 e 1000 m, l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) lo considera vulcano attivo.

Dai dati raccolti, si è stimato che l’ultima eruzione sia avvenuta tra 2100 e 3000 anni fa.

Per ora è interessato da attività sismica leggera dovuta al gas e ai fluidi idrotermali. Perché non se ne parla? Beh, la prima motivazione può sembrare puerile, ma è quella che più si avvicina alla verità: perché a differenza di Vesuvio, Etna, Campi Flegrei, il Marsili “non si vede”.

Poi perché, anche se ci fosse un’eruzione di una rilevante importanza, sulla superficie marina vedremmo al massimo delle bolle di gas dovute al degassamento. Il vero rischio è l’eventuale maremoto prodotto da un’eventuale frana del complesso vulcanico a causa di un’eventuale eruzione (mi scuso per la cacofonia, ma è giusto specificare che si tratta di fenomeni che potrebbero avvenire e potrebbero essere collegati tra di loro, ma non è detto che debbano per forza verificarsi).

In quel caso, la rete mareografica italiana è una delle migliori al mondo e l’avvertimento avverrebbe in maniera puntuale e precisa.

 

E’ di pochi giorni fa la scoperta di un masso alto 500 metri che sarebbe la causa di questi fenomeni.

 

L’interessante studio del team di ricerca guidato dal Professor Massimo Nespoli dell’Università di Bologna dimostrerebbe che la dilatazione di questo masso alto 500 metri e largo 5 km, situato a 2 km di profondità sotto la caldera sarebbe la causa non solo della crisi bradisismica attuale, ma anche di quella degli anni ’80. Dilatazione dovuta sempre alla “spinta” dei fluidi idrotermali.

Un risultato davvero interessante, ma tengo a sottolineare come lo stesso Nespoli abbia non escluso del tutto la risalita del magma.

 

Negli Anni 80 si verificarono fenomeni simili a questi, che durarono qualche tempo per poi sparire. Succederà la stessa cosa?

 

Bella domanda. Faccio mie le parole del Presidente dell’INGV Carlo Doglioni.

La speranza è che la crisi si risolva spontaneamente come già accaduto negli anni ’80 ( e precedentemente negli anni ’70), ma, essendo i Campi Flegrei un vulcano attivo, la probabilità dell’eruzione, seppur piccola, non va esclusa.

Per ora il livello di allerta resta “giallo” perché, a parte il bradisismo e i conseguenti terremoti, i parametri geochimici sono nella norma e quindi difficilmente sono previste conseguenze gravi a breve.

 

Campi Flegrei da una parte, Vesuvio dall’altra: quale dei 2 scenari sarebbe quello più catastrofico?

 

Non vi è ombra di dubbio: i Campi Flegrei. Essi rappresentano un cosiddetto “supervulcano”, con più centri vulcanici distribuiti su una superficie di 200 kmq.

Il Vesuvio ha una bocca vulcanica ben nota, un cono da un diametro di “appena” 450 m.

Questo rischia di comportare un volume piroclastico eruttato decisamente maggiore per i Campi Flegrei rispetto al Vesuvio.

 

C’è modo di prevedere almeno le tempistiche? Il monitoraggio servirà per una eventuale evacuazione “ordinata”?

 

Sia Vesuvio che Campi Flegrei sono monitorati costantemente dalle apposite reti strumentali dell’Osservatorio Vesuviano. Se le cose vanno come devono andare, teoricamente, si potrebbe arrivare a prevedere un’eventuale eruzione anche una settimana prima.

Tempo sufficiente per un’evacuazione “ordinata”? Dipende sempre dalla civiltà e dalla consapevolezza culturale degli abitanti. Tenendo sempre conto che stiamo parlando in maniera probabilistica.

Quindi esiste la probabilità, seppur piccola, che il tempo di avviso sia minore.

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di Marianna Addesso

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