di Ornella Trotta

Venerdì 2 dicembre, sono a Roma, a due passi da Piazza di Spagna, ore 14,30, sono a casa di Pupi Avati per un’intervista che durerà 28 minuti e 33 secondi.

Maestro, ho consultato il suo segno zodiacale e ho intuito che da scorpione guarda al futuro con l’entusiasmo dei venti anni, quali sono i suoi progetti per il futuro?

“Il ritorno al cinema. Ultimamente abbiamo fatto molta televisione, una serie e una serie di film per la televisione. Questa lontananza la sento un po’ come una mancanza. Mi piacerebbe tornare a fare un film per le sale cinematografiche”. “L’archivio del diavolo”  Solferino, editore, é un grande successo altro successo.

La Chiesa, il diavolo, la superstizione sono i temi dei suoi ultimi lavori, perché?

“E’ il mondo dal quale provengo. Sono nato alla fine degli anni Trenta, ho vissuto la cultura contadina, la Chiesa preconciliare. Oggi nessuno ne parla più. Sono considerate forme di superstizione, ma il male è ancora presente, mi sembra che abbia fatto dei proseliti”.

Nel film “Il Signor Diavolo” lei propone scene da Santa Inquisizione.

“Sono forme scenografiche, ingenue. Ma ci sono forme di male subdole, apparentemente innocenti. C’è un magistrato che non si comporta correttamente. Ma nessuno si salva in questo racconto se non, probabilmente, uno dei procuratori, Malchionda, che mi piacerebbe avere come protagonista del terzo e conclusivo episodio di questa saga sul male”.

Nelle sue opere sono presenti Dio e i Santi, si coglie anche un sottile disegno della provvidenza, una giustizia umana e divina. Perché sceglie questi temi?

“E’ la mia educazione, mi é stata impartita dai miei genitori che a loro volta l’avevano ricevuta dai loro genitori. E’ un testimone che si deve tramettere. Una lezione di vita che non trova nulla di meglio del Discorso della montagna e del Vangelo. Se legge le Beatitudini ha una sintesi di quello che dovrebbe essere il comportamento umano più alto, più straordinario e socialmente apprezzabile”.

Una lezione antica e attuale.

“E’ la lezione di quel ragazzo lì, quello di 2000 anni fa”.

La lezione di Gesù?

“Non ho trovato niente di meglio né prima né dopo. Disdegnare o far finta che non sia esistita quella lezione perché vogliamo essere a tutti i costi innovativi é una forma di provincialismo culturale. Non ho visto messe in campo delle alternative. Questo discorso si può estendere a tutti i contesti. Ha a che fare con la responsabilità dell’essere umano, di chi forma la famiglia. Pensi ai ruoli genitoriali. La messa in discussione di quella cultura ha prodotto delle crepe, come dei tavoli e delle sedie sui quali é pericoloso sedersi”.

Secondo lei perché?

“E’ un danno dovuto all’aspirazione ad una perenne innovazione. E’ evidente che se il welfare viene rinnovato é un bene per tutti. Però inventarsi un tipo di rapporto umano che vada al di là di quello evangelico, considerandolo migliore, é impossibile. Nessun uomo politico illuminato, di qualunque ideologia o cultura, é stato capace di convincermi che c’era qualcosa di meglio”.

I valori evangelici prima di tutto.

“E’ evidente che chi fa una professione culturale come la mia vuole, a tutti i costi, essere progressivo, innovativo. E allora io vengo guardato come un conservatore, un oscurantista. Ma il passato, come le culture classiche avrebbero dovuto insegnarci, contiene dentro di sé tutti i germi che producono in negativo e in positivo gli sviluppi del futuro. Recidere qualunque tipo di relazione con la lezione di quelli che ci hanno preceduto é sbagliato”.

Quali sono le novità televisive?

“Stiamo realizzando una serie di film ispirati alle Beatitudini. Penso che raccontare storie di oggi che abbiano questi temi sia per un cristiano un dovere”.

Previsioni sul futuro dell’Italia?

“Non potrei farne e dubito che altri possano farlo. Vedo persone non più impegnate nel fare, ma nel commentare. Gli eventi sono minimali rispetto alla marea di persone che ci campano sopra. Pensiamo alla crisi finanziaria: nessuno ha capito com’é andata. Quando si é trattato di fare un minimo di previsioni, sulla Brexit o su Trump, nessuno aveva capito nulla. Ci saremmo aspettati almeno il pudore di chi dice: “non ci ho capito niente”. Non so in quale direzione stiamo andando, ma prima o poi saremo costretti a una resipiscenza, ad un ravvedimento. Com’é accaduto nella storia del jazz, nella letteratura, nel cinema, nella vita. Dopo tutti questi esperimenti dove i papà sono due, le mamme sono tre, si tornerà alle origini. Già oggi sento che le tematiche etero o omosessuali sono diventate vecchie, questo nel giro di dieci anni. Non ci sono fondamenti, c’é, fortunatamente, un fiume sotterraneo che continua comunque a fluirle, e continua a portare quella garanzia di buon senso che l’essere umano, almeno con la coda dell’occhio, tiene presente. Queste provocazioni durano molto poco, poi si esauriscono”.

Crede che l’Italia sia ignorante?

“Non lo so, generalizzare é scorretto. Mi sta succedendo in casa, la mia é una famiglia per tradizione disaffezionata alla scuola. Sia io che mia moglie che i miei figli siamo stati tutti scolari scadenti. Abbiamo scoperto l’importanza della cultura tardi, abbiamo recuperato molto tardi da autodidatti”.

Parliamo dei migranti, un tema che lei ha trattato.

“Rappresentano un problema enorme nelle periferie e nei piccoli centri, soprattutto meridionali. In certe parti le situazioni abitative sono compromesse dall’arrivo di questi stranieri con i loro usi, con loro le pretese, ma dobbiamo amarli lo stesso. E’ troppo facile amare chi ti riama, chi ti attrae, chi é educato e profumato. L’amore vero lo devi rivolgere alle persone più deboli, lo dice il Vangelo”.

Quando ha deciso che avrebbe fatto il regista?

“Da adulto, dopo aver fallito un sogno musicale. Con la musica é andata male perché mi sono reso conto di non aver talento sufficiente e allora ho scoperto il cinema attraverso un film di Fellini, un film che mi ha sedotto”.

Lei é un uomo di successo?

“Non si può dire perché nel mio mestiere vale l’ultima cosa che hai fatto, non c’é un valore assoluto. Mi illudevo che potesse essere così, ancora oggi a 78 anni, ad ogni film mi gioco tutta la vita”.

Forse tende al perfezionismo?

“No, no. E’ come se fossi un giocatore d’azzardo. Io e mio fratello abbiamo un’azienda, dei dipendenti, una responsabilità enorme”.

A un giovane che ama il cinema consiglierebbe il cinema ?

“Se ha talento, se ha un suo mondo, se ha qualcosa di suo da raccontare sì, ma questa certezza l’hai molto in là, devi metterti alla prova”.

Un po’ come ha fatto lei quando ha lasciato la musica?

“Si. Quando ho capito che la musica non era per me, ho smesso”.

Ci vuole coraggio?

“E’ dura smettere, é molto doloroso “.

Dei suoi film “l papà di Giovanna” mi ha fatto riflettere, lei presenta con precisione una relazione patologica padre-figlia, indaga i profili profondi delle persone, da manuale di psicoanalisi.

“Una delle piccolissime qualità che posso riconoscermi é un po’ di esperienza delle dinamiche psicologiche delle persone. Questo perché ho trascorso gran parte della mia giovinezza da timido. Le persone timide sono dei grandi osservatori, non si esibiscono mai, stanno sempre negli angoli, zitti. Ascoltano e immagazzinano informazioni sul mondo e sugli altri. Mi é sufficiente poco per capire una persona. Posso immedesimarmi in persone diverse, dalle più positive alle più negative con molta facilità”.

Il suo attore attore preferito?

“Non esiste, ne ho avuti tanti e il tempo ha fatto sì che si siano consumati reciprocamente, come succede per una storia d’amore. Ho avuto la fortuna di lavorare con attori anche straordinari, alcuni mi hanno arricchito, altri mi hanno deluso. E’ molto diffusa l’irriconoscenza in questo mestiere. Se hai fatto tantissimo per una persona, molto spesso succede che questa persona poi faccia di tutto per dimenticarsene”.

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