MIlano, Brera. Foto Andrea Scuratti
MIlano, Brera.
Foto Andrea Scuratti

A proposito d’una sentenza

Il caso Depp /Heard, verdetto finale

Il processo dell’anno, almeno per il continente nord americano, si è concluso con l’assoluzione di Jonny Depp e la condanna di Amber Heard ad un risarcimento multimilionario, appena lenito da una corrispettiva ingiunzione a Depp per due milioni di dollari.

Per chi ha seguito le vicende a volte feroci a volte grottesche del movimento “# Me too”, quando s’imbastivano processi penali per un ginocchio sfiorato decenni prima, fatti sempre sui social media e poi nei tribunali, il processo Heard vs Depp è sembrato scorrere in modalità, che appartengono più al corretto amministrarsi della giustizia che al giustizialismo selvaggio: il vecchio conflitto americano fra tribunali e il linciaggio far west della folla.

Negli Stati Uniti non mancano comportamenti abusivi, di costrizione e violenza verso le donne, ma lo sconvolgimento illimitato d’ogni parametro di sensatezza e di responsabilità portato dal movimento “# Me too” sembra con questo processo avere subito una battuta d’arresto se non di irreversibile declino.

Un numeroso gruppo di femministe americane (in Europa fu Catherine Deneuve a protestare contro le deformazioni morali del #me too) espose con chiarezza le ragioni che le opponevano al movimento.

Lo considerarono alla fine dei conti non un evento progressivo, ma con ampie note d’oscurantismo sessuofobico, che ledeva le libertà femminili ed il libero avvicinarsi a ciò che fa dell’amore un’avventura in due, spirituale ma anche fisica.

Per loro il #me too era un regalo ad un puritanesimo anglosassone, dominante fin dalle prime colonie americane, sessuofobico e costrittivo dove la donna non disponeva d’alcuna libertà in amore (si veda il film “la lettera scarlatta” con Demi Moore).

Una gabbia auto imposta contro una sessualità libera e responsabile.

Ma non solo.

Stonava ed infastidiva le femministe il ruolo che progressivamente avevano assunto le celebrity hollywoodiane, cavalcando l’onda del fenomeno.

Non le donne semplici, quelle delle fabbriche e dei campi, ma star ricche e famose, giunte al successo in quei meandri hollywoodiani, che ora deprecavano.

Era questo che indisponeva la cultura femminista americana, rivolta da sempre alla tutela delle donne più fragili e silenziosamente esposte alla violenza delle relazioni.

Quindi oggi che sembra sfatato il mito del vittimismo ad oltranza del #metoo cosa rimane da considerare?

Il bello, rimane da ripetere, é che il bene ed il male è nella coscienza umana, ma insieme alla capacità di discernimento morale ed al ben comportarsi, che appartengono ad ambedue i sessi, costruiti e composti perché alla fine reciprocamente indispensabili.

Quest’impegno nessuno lo può disattendere.

È il fondamento della grande rivoluzione culturale per l’istruzione femminile, i grandi ruoli di responsabilità, che le donne vanno assumendosi nelle società, pure in Italia, con il rispetto che conquistano con il loro impegno.

Obbiettivi che onorano la nostra civiltà.

Fra questi c’è anche il diritto all’amore ed alla sessualità, la concessione che ciascuna donna può farsi al proprio desiderio e piacere.

L’alternativa reale è la società dove la donna di fatto è solo un oggetto di proprietà familiare, inibita ad ogni libera scelta nel gioco e nella gioia delle seduzioni, che connotano l’arte della femminilità, perfino violata con velature e mascheramenti nell’offerta della propria bellezza fisica e spirituale.

Purtroppo temo che il puritanesimo solleticato e sottinteso del #me too, a qualcosa d’analogo avrebbe potuto portare, pure in Europa, se non altro per moda, sfidando millenni di narrazioni dell’amore in ogni sua forma, ben noti per chi ha voluto leggere “L’arte d’amare”.

Per questa storia d’irrinunciabile sensibilità la nostra visione nella vicenda dei sessi è molto diversa dalle prediche del #me too, pure in un ambito così complesso di passione, desideri e rabbie.

Amiamo un mondo dove domini libertà e sicurezza nelle scelte sentimentali senza barriere di rachitismo affettivo, senza chiudersi in un ghetto autoimposto di divieti e sospetti.

L’augurio è che si possa progredire, non arretrare nelle regole dell’amore.

Come in tutte le grandi rivoluzioni del costume alle donne spetta un ruolo di guida, costruendo insieme ai loro amati un percorso verso le meraviglie e le certezze dell’amore compiuto e non l’acrimonia dei rancori.

Alla fine è compito genetico di ogni donna fare di ogni uomo un uomo migliore.

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di Gaetano Galderisi

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