Da sinistra Gilda Ricci, Caterina Gammaldi, Enrico Panini e Carmine Gonnella
Sos Scuola: Enrico Panini lancia l’allarme
Salerno – Il Sud e la scuola del Paese, disuguaglianze, merito, autonomia differenzita: sono i temi del convegno organizzato dall’Associazione Culturale DI@LOGO venerdì 16 novembre nell’aula magna dell’Istituto “S. Caterina Amendola” di Salerno sulla Dispersione scolastica.
Ampia la partecipazione al dibattito coordinato dalla presiedente Caterina Gammaldi con le relazioni di Carmine Gonnella, Giovanni Spalice, Peppe Raimondo, Gilda Ricci e Annarita Carrafiello. E’ intevenuto, inoltre, l’onorevole Franco Mari.
Le conclusioni sono state affidate a Enrico Panini, esperto di sistemi scolatici, già vice sindaco di Napoli.
Un’analisi lucida della scuola italiana, animata dalla logica del libero mercato e non pronta a porre un freno al fenomeno della dispersione scolastica.
Ne abbiamo parlato con Enrico Panini esperto di sistemi scolastici che ha concluso i lavori del convegno.
Chi é Enrico Panini?
Già dirigente nazionale del comparto scuola della CGIL, poi in segreteria nazionale come responsabile dell’organizzazione.

Super assessore al Comune di Napoli con De Magistris,

Nel 2004 con Panini segretario nasce la Flc, la Federazione lavoratori della conoscenza.

Affabile e comunicativo è un “napoletano che parla emiliano”.

Ha studiato quando la scuola era anche un motore sociale: “Ho fatto più fatica degli altri perché a casa mia non c’erano molti libri. Ho potuto farlo perché c’erano leggi che me lo permettevano e perché, pur con tutti i suoi pesanti limiti, quella scuola non mi cacciava via”.

Professore, si riaccende il dibattito sulla scuola e sulle disuguaglianze

“La scuola registra diseguaglianze di tempo scolastico, diseguaglianze di opportunità, diseguaglianze di sicurezza.

Il rapporto Svimez 2022 da questo punto di vista è la sanzione di un paese frantumato nel quale alla crescente povertà di carattere economico si aggiunge una povertà di carattere sociale, culturale, che rischia di essere ben più vasta quantitativamente. Non si può registrare passivamente il fatto che il 20% della dispersione scolastica si concentri al Sud, essa è lo specchio di una di una mancata possibilità, spesso per gli enti locali, in condizioni di bilancio gravi di poter intervenire.

La Repubblica deve svolgere il proprio ruolo fino in fondo nell’attuazione dell’articolo 3 nella rimozione di quelle che sono le diversità nel nostro Paese”.

Il bello é che nel corso del convegno di stasera è emerso che di dispersione scolastica si occupa il Terzo Settore. Quasi come se fosse stata tolta una funzione alla scuola.

“Siamo a quasi cento anni dalla nascita di don Lorenzo Milani, una delle frasi che più mi ha colpito di Lettera ad una professoressa, è che la scuola allontana i malati e cura i sani.

Ovviamente non per una scelta della scuola, ma perché la scuola non è messa nelle condizioni di potere parlare ai sani e ai malati.

Il rischio che vedo in questa fase, è che se la scuola non è messa in grado di intervenire si apre un mercato enorme per il terzo settore, in ciò marginalizzando ancora di più la scuola pubblica e separando ancora di più i destini degli uni e dai destini degli altri.

Richiamo l’attenzione sul fatto che il Patto contro la dispersione siglato nel Comune di Napoli con tutta una serie di soggetti, riserva le solite parole ma non una sul numero degli alunni per classe, non una sul trattamento degli insegnanti, non una sulle condizioni degli edifici scolastici e attribuisce consistentissime risorse al terzo settore. Ciò, a mio avviso, è profondamente sbagliato”.

Da esperto di sistemi scolastici, cosa suggerirebbe al ministro della pubblica istruzione?

“Due o tre cose in modo particolare: mettere nella legge di bilancio le risorse per i rinnovi contrattuali,  prendere di petto le diversità che i rapporti Svimez, Censis e Istat segnalano assumendole non come un problema, ma come punti sui quali bisogna dare risposte, si  valorizzando gli insegnanti e valorizzando la scuola pubblica.

Ma temo, perché il merito, in quella accezione, è la sanzione delle differenze fra chi può e chi non può e in genere chi può ha anche un reddito conseguente.

Occorre che gli insegnanti escano dalle scuole, comincino a parlare con il Paese, comincino a fare iniziativa. Perché hanno in mano il destino del Paese e quel destino non può essere relegato in un cantuccio”.

Il suo è un appello agli insegnanti, sta dicendo: svegliatevi!

“E’ un appello a riprendere consapevolezza che  l’insegnare è una funzione altamente politica, che non si esercita solo nell’aula, solo nella scuola, ma che in momenti nei quali si rimettono in discussione alcuni fondamentali del lavoro o per ragioni di carattere politico o perché  registrato dalle statistiche, dalle indagini,  occorre che questo ruolo politico di discussione, di elaborazione, di iniziativa, di mobilitazione esca dalla scuola e pervada il Paese”.

Parliamo, adesso, di un’incompiuta: l’autonomia scolastica come viene declinata?

 

“Sono state dimenticate e cancellate l’autonomia di ricerca e l’autonomia di sperimentazione. Sono relegate a degli incisi che si ripetono come omelie sempre uguali a se stesse.

Con l’autonomia scolastica le scuole sono diventate maxi-istituti con collegi di cento, centocinquanta, duecento insegnanti e una miriade di adempimenti burocratici che uccidono, giorno per giorno, gli insegnanti, le segreterie in una sorta di quasi perversa attribuzione di compiti con un sentimento di ostilità.

L’autonomia scolastica, autonomia di rango costituzionale, va declinata come affidamento alle scuole di potestà di carattere decisionale e alleggerimento  politico del ruolo del ministero dell’Istruzione.

Da questo punto di vista c’è una forzatura dei termini stessi dell’autonomia.

Questa forzatura si è esercitata in tutta Italia”.

La pandemia ha svelato tante cose.

“La pandemia è stata la sanzione più evidente dell’appesantimento di carattere burocratico del quale bisogna ben presto liberarsi, perché gli atti possono essere delegati e perché la funzione fondamentale é l’insegnare, cioè la relazione tra una persona adulta e ragazze e ragazze che tutti i giorni hanno bisogno di costruire, di rafforzare il loro progetto di vita”.

Lei ha parlato dei giovani insegnanti. Al convegno di stasera abbiamo visto la partecipazione consapevole del mondo della scuola. Ma serve un nuovo protagonismo?

“Credo che sia necessario che gli insegnanti riprendano in mano un ragionamento sul senso della scuola e della professione.

In questi ultimi decenni questa discussione non è stata fatta o è stata fatta in modo accademico”.

Si sarebbe potuto fare meglio e di più anche contro la dispersione scolastica?

“C’è stata una forzatura sulle soluzioni di carattere organizzativo e, anche, l’affermarsi del liberismo nella cultura con il quale sono stati avvicinati i temi della scuola. La dispersione non va oltre le statistiche, per il resto si continua ad andare avanti”.

Come immagina la scuola fra due anni?

“Se la scuola non si sveglia la vedo male. La vedo male nel senso che l’attuale governo e l’attuale ministero  interverranno pesantemente sulla scuola con i tagli e con lo spostamento fuori dal contratto di sempre maggiori materie e competenze.

Devo dire che sul PNRR non è stata fatta alcuna contrattazione dal precedente governo.

L’attuale governo ha in animo di esautorare la contrattazione”.

Con buona pace della professione docente.“Si afferma un’idea di scuola pubblica di classe dove c’è un pezzo medio che si affida alla scuola pubblica, il pezzo più in difficoltà al privato sociale o al terzo settore e una punta alta che comincia a guardare all’Europa ed esce definitivamente dal nostro Paese.

Questo a mio avviso, è il rischio. E non è una ipotesi di carattere sentimentale, una sensazione.

E a tutto ciò danno anche una copertura di carattere ideologico.

Per questo dico che bisogna uscire dalle aule e dalle scuole e fare discussione pubblica.

Non si può assistere inerti al declino.

Si mette in discussione il Paese e anche il lavoro stesso delle persone”.

 

 

 

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di Ornella Trotta

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